di Antonella Buttazzo
La diversità, nel suo più ampio significato, inutile ripeterlo, è una ricchezza non solo culturale. Difatti, reputare il ”forestiero” come un valido alleato per condividere uno sviluppo progettuale dedito al pluralismo culturale, sottolinea l’importanza e la necessità di attuare un dialogo sano, pacifico ed inclusivo fra i popoli.
A Very Narrow Bridge: la mostra nasce appunto, con questo spirito di coabitazione culturale, la mostra “A Very Narrow Bridge – Un ponte molto stretto”, curata da Fiammetta Martegani ed esposta, fino a settembre, presso gli spazi del Jewish Museum di Lecce. Il titolo, che dà il nome a questo cenacolo di quindici artisti di diverse nazionalità e confessioni religiose riuniti per esplorare l’identità multietnica di Israele, è la traduzione della poesia in lingua ebraica di Rav Nachman di Breslov, “Kol Ha’Olam Kulo”. Essa recita infatti: ”Il mondo intero è un ponte molto stretto e l’importante è non avere paura”.
A Very Narrow Bridge: il rapporto con la paura; ma cos’è la paura? La paura è un’emozione, definita dalla psicologia primaria, scaturita dalla naturale avversione al rischio o alla minaccia, o per dirla come il celebre psicoanalista Umberto Galimberti nel suo Dizionario di psicologia: Emozione primaria di difesa, provocata da una situazione di pericolo che può essere reale, anticipata dalla previsione, evocata dal ricordo o prodotta dalla fantasia. La paura è spesso accompagnata da una reazione organica, di cui è responsabile il sistema nervoso autonomo, che prepara l’organismo alla situazione di emergenza, disponendo, anche se in modo non specifico, all’approntamento delle difese che si traducono solitamente in atteggiamenti di lotta e fuga.
A Very Narrow Bridge, il messaggio della mostra è quindi l’altro, che ci fa davvero così paura? La mostra indaga proprio su questo interrogativo, prodotto dallo stato emotivo xenofobo, che nella società contemporanea, in particolare quella occidentale, divampa con gesti sempre più sprezzanti in concomitanza ai fenomeni di immigrazione e pseudo integrazione. Una risposta concreta, sarebbe quella di dimostrare invece, di superare la barriera del pregiudizio, fatta di convinzioni ritenute assolute e inviolabili, accogliendo nella propria identità lo ”straniero”, ovvero l’alleato con cui condividere un disegno comunitario di convivenza. Tutto questo andrebbe a tradursi in una mano tesa pronta ad ospitare un arricchimento non solo culturale, affiancata da una presa di coscienza sociale matura e capace di andare oltre i dogmatismi razziali profondamente radicati in alcune culture. Non solo semplici incontri di civiltà quindi, ma veri e propri ”ponti” dediti al dialogo di valori in cui credere insieme, puntando al superamento dei conflitti pregiudizievoli, rappresentati, nel contesto della mostra leccese, da ciascuno degli artisti presenti.